La novità è di quelle che aprono un dibattito interessante: Facebook consente di profilare il pubblico in base alle etnie.
Il titolo non vuol essere aggressivo, né acchiappa click, è semplicemente ciò che sta accadendo: Facebook ha introdotto le affinità etniche tra i criteri con cui profilare il pubblico delle inserzioni.
Cosa è accaduto
Se dovesse esserti sfuggito, Facebook ha un sistema di inserzioni che consente con investimenti anche esigui di selezionare il pubblico a cui si vuol far vedere un contenuto, selezionando una serie di criteri di carattere demografico (area geografica, età, lingua etc) e interessi, oltre che posizioni lavorative e altri criteri che individua per effetto della nostra navigazione sulla piattaforma e oltre.
Tra questi criteri è possibile selezionare, come da screenshot pubblicato da propublica, anche affinità etniche come Afroamericani, Ispanici, “Asian american” e così via.
E no, non siamo di fronte a un nuovo caso di misunderstanding come è stato per il questionario che nelle scuole inglesi chiedeva di indicare la lingua parlata, come magistralmente chiarito da Valigiablu.
In questo caso si parla chiaramente di Ethnic Affinity.
La legge
La notizia ha comportato non pochi risentimenti e critiche, tra cui quelle dell’avvocato John Relman che ha tacciato questa novità come illegale.
In effetti The Fair Housing Act del 1986 e The Civil Rights Act del 1964 proibiscono a chiare lettere provvedimenti di questo genere, con speciale riferimento ad attività pubblicitarie.
Facebook dichiara di vietare agli inserzionisti profilazioni discriminatorie, ma la posizione in questo caso non sembra essere troppo solida.
L’esistenza stessa delle classi di profilazione per affinità etniche testimonia che evidentemente è una possibilità concessa, seppur dichiarata come inaccettabile nelle policy le cui maglie sono evidentemente larghe.
Le affinità esistono?
Posta la palese scorrettezza del consentire profilazioni sulla base di etnie e razze, per cui basta la legge a fare da riprova, vale la pena sottolineare, al contempo, che l’esistenza di queste classi potrebbe essere per larga parte frutto di una materializzazione sulla piattaforma di queste stesse affinità. A meno che non siano state inserite manualmente…
Come porsi?
Se l’esistenza stessa delle classi fosse di natura “spontanea” sarebbe ugualmente condannabile? Andrebbe eliminata a prescindere o sarebbe preferibile un sistema di controllo che distingua casi discriminatori da casi di profilazioni del pubblico per singole evenienze?
Sembra che Facebook si doti già di un sistema di alert e controllo per inserzioni che prevedano la presenza di testi come “per soli bianchi”.
Un barbiere specializzato in pettinature afro che dovesse scegliere di rivolgersi al proprio pubblico starebbe commettendo reato di discriminazione razziale?
Dal momento che parliamo di contenuti che, essendo pubblicitari, sono creati per attività di business e (salvo alcuni casi) non di pubblica utilità o utilità sociale, il fatto che siano indirizzati solo ad alcune etnie è ugualmente da interpretarsi come lesivo?
La questione, come spesso accade sui media digitali, è di quelle che possono avere diverse chiavi di lettura e aprire a casistiche nuove non immaginabili fino a qualche anno fa.
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Grazie per la condivisione, Teresella
Se io vendo salumi di maiale ed escludo i musulmani sono razzista?
Ecco. Direi chiaramente di no 🙂