Ha fatto molto discutere la manipolazione delle notizie sul news feed di Facebook, attuata per condurre un esperimento sul condizionamento del sentiment degli utenti.
Centinaia di migliaia di persone sono state esposte a messaggi in maggioranza positivi o negativi, con consecutiva analisi della risposta agli stimoli.
Dal momento della pubblicazione di questa notizia, gli utenti hanno iniziato ad accusare Facebook e ricercatori di manipolazione mascherata da scienza. Una sorta di esperimenti su cavie da laboratorio.
La verità è che Facebook esplicita nei propri termini di servizio, che prontamente nessuno legge in fase di iscrizione, il fatto che la creazione di un account acconsenta alla cessione dei dati per la “ricerca”.
Si potrebbe restare qui a cavillare sul fatto che queste attività possano essere o meno afferenti al campo della ricerca, o se siano considerabili come mere violazioni della privacy.
Mashable dalle proprie pagine riporta le dichiarazioni di Ryan Calo, esperto di privacy e professore di diritto presso l’Università di Washington, che ha definito questo studio “inquietante ma non necessariamente in violazione di qualsiasi legge”.
La questione pare si ponga sui responsabili e sui committenti di tale ricerca, individuabili in una risorsa interna all’impresa come Adam Kramer, coadiuvata da esponenti della Cornell University e l’University of Californa, che pertanto avrebbero dovuto richiedere espliciti permessi per la conduzione di ricerche su soggetti umani.
Di fronte a un ibrido in termini di responsabilità, la disputa si sposta sugli aspetti pratici della ricerca, per cui i coautori risulterebbero esclusivamente progettisti e scrittori dei risultati, il ché riporterebbe la responsabilità nell’alveo di Kramer e quindi di Facebook, ripulendo, di fatto, la vicenda di ogni illegittima interpretazione.
L’unico elemento di discussione che resta in piedi da tale contesto è quello concernente gli aspetti etici, per cui ciascuno potrà farsi la propria idea sulla condotta del social di Mark Zuckerberg.
Dalla dichiarazione ufficiale di Kramer, neanche a dirlo, dal proprio profilo Facebook si assiste ad una sorta di ammenda, con la quale, però, tende a specificare che l’impatto della ricerca è stato il minimo per assicurare una rappresentatività statistica.
Tali parole sembrano quasi voler scongiurare qualsivoglia citazione per danni morali, già paventata da qualcuno.
Una sorta di passo indietro, che tuttavia non cancella un’analisi ben più profonda che avrà offerto sicuramente rilevanti dati e test per misurare, se ancora ce ne fosse bisogno, l’incidenza delle dinamiche di Facebook sugli umori dei propri utenti.
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