Se Facebook può sovvertire le esperienze d’uso, può tutto.

C’è più sociologia che informatica nella storia delle reactions di Facebook.

No, non vuole essere una riflessione cospirazionista o di quelle che creano panico e ansie, ma solo un modo per tirare le somme molto concretamente.
Ieri mattina leggevo il post di Rudy Bandiera sull’essere tradizionalisti o abitudinari e al di là delle differenze di significato, mi sento di asserire che lo siamo tutti, nessuno escluso.
Ultimamente si sente parlare sempre più di comfort zone, che non è necessariamente un luogo (non lo è per definizione), ma una condizione di tranquillità dovuta, appunto, a un sistema complesso di abitudini e sicurezze su cui fondiamo la quotidianità.
In una società frenetica e fluida, che vede la sua metafora più amplificata nel “mondo” digitale, avere dei sentieri entro cui muoversi è ciò che ci consente di vivere bene, in senso ampio, e soprattutto di vivere meglio le nostre innovazioni, i nostri slanci creativi, la nostra indole (se presente) ad inventare qualcosa di nuovo, a stravolgere le regole.
Negli ambienti digitali questi schermi sono stati inizialmente prodotti dai grandi player, che hanno in un certo senso costruito l’esperienza dell’utente, su cui si fonda la disciplina (e il lavoro) dell’user experience.

Hai più visto un sito web senza un campo di ricerca?

Hai visto che esperienza non propriamente felice i siti web a scorrimento orizzontale?

Cose che ci sembrano banali, ma che plasmano esperienze d’uso e cultura visiva, di cui non possiamo più fare a meno.
L’avvento dei social, se così si può definire, ha aumentato il potere dei fruitori in maniera esponenziale, ponendoci nella posizione di lobby influente dei luoghi in cui digitalmente abitiamo.
Ne sono dimostrazioni palesi il recente caso di Twitter, che ha definitivamente sostituito le stelline del “preferito” con il cuoricino del “like”, così come il caso della bandiera francese sulle nostre immagini del profilo Facebook, di cui ho abbondantemente parlato.
Gli utenti hanno, tutti insieme, costruito e consolidato un’esperienza d’uso, che i social non hanno potuto fare altro che assecondare.
Sia chiaro, parliamo di strategie assennate.
Il focus di questo blog è il listening, che consiste (tra le altre cose) nell’intercettare bisogni e aspettative del pubblico, al fine di soddisfarle e di renderli fattori strategici per future implementazioni.
Scoprire cosa vuole il tuo “cliente”, accontentarlo e lavorare per offrire un servizio sempre migliore e più redditizio per lui, che sarà l’unico a poterti dare gratificazione.
Cosa c’è di meglio?
Facebook sovverte questo paradigma.
Non parliamo di un’innovazione in senso stretto. Non è una nuova feature che si va aggiungere al panorama già vincente e composito.
Perdonerai i toni apocalittici, ma il sunto è che

Si sta scalfendo una certezza che apre un mondo nuovo.

L’implementazione delle reactions è la più grande dimostrazione, finora, di Facebook del nostro essere “ospiti” della piattaforma.
Non ne faccio una questione di principio. L’implementazione porta con sé una ponderata rinuncia all’immediatezza dell’interazione, in direzione di un’attività che ha un peso specifico maggiore perché recita elementi qualitativi. Non mi dispiacciono le reaction, anzi le trovo anche molto utili per quella che è la mia figura professionale, il social media analyst, perché utili a ridurre il margine di errore di chi troppe volte ha sbandierato (e venduto) misurazioni del sentiment assolutamente superficiali.

Facebook e il suo like sono due certezze assolute del web, non scalfite da alcun crollo in borsa, abbandono degli utenti, riduzione delle interazioni, problemi di profilazione.

Facebook non aveva bisogno di cambiare

Gli utenti di Facebook non volevano che Facebook cambiasse.
Se Facebook agisce sulla meccanica di interazione più popolare, emulata da tutti gli altri social, andando a distruggere una certezza che non si limita ai confini (planetari) della piattaforma ma travalica anche i giardini altrui, è semplicemente perché può.
Può scegliere di dettare una linea di condotta, prescindendo da stimoli e volontà degli utenti, stravolgendo le regole e le esperienze d’uso su cui si fondano le certezze di chi vi opera.
In una prima fase continueremo ad appigliarci a ciò che ci è più familiare, dopodiché asseconderemo l’innovazione, nell’attesa della prossima novità.
A tal proposito lo stesso Zuckerberg, a poche ore dal rilascio delle reactions, racconta che la più utilizzata è “love”, non a caso interazione ben consolidata sia su Twitter che su Instagram.
A questo si aggiunge l’annuncio, per noi paranoici professionisti di settore, che le reactions (almeno per il momento) non produrranno differenze in termini algoritmici.

“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”

E mi perdonerai questa citazione del Gattopardo, ma forse è questo il segreto che tiene in piedi il potere di Facebook: avere costruito la facoltà di poter cambiare.
Il più grande merito di Facebook non è quello di aver fatto pendere l’ago della bilancia nuovamente nella direzione dei grandi player.
E’ quello di averlo fatto con discreta soddisfazione di tutti.

E tu cosa ne pensi? Parliamone sui profili social di Social Listening o tra i commenti se preferisci.

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