Siamo stati noi a trasformare le stelline in cuori, non Twitter

Aggiornamento 11-11-2015

Dopo una sola settimana i dati riferiscono un utilizzo dei cuori che supera del 6% l’uso delle stelline, ma potrebbe trattarsi solo di hype iniziale.

Ben più interessanti i dati sull’engagement: +9% per i nuovi utenti.


 

Apriti cielo. Twitter trasforma la sua famosa stellina del tasto “preferito” in cuoricini, mutandone il nome in “mi piace“.

“Sacrilegio! Hanno copiato Facebook”

Va più o meno avanti così la discussione, tra Facebook, Twitter ed altri canali.
Addirittura importanti testate nazionali hanno segnalato questa emulazione  ma proviamo a tirare le somme.

Il pulsante “Preferito” nasceva con l’intento di delineare i tratti del nostro profilo sulla piattaforma, arricchendo le informazioni che si potevano descrivere nella breve bio e quelle che si potevano desumere dai Tweet che andavamo a pubblicare, di una lista di Tweet che avremmo contrassegnato come preferiti.
Si, “preferiti”. Quelli che ci erano piaciuti di più.
Pochi.

Quante sono le tue canzoni preferite?
Artisti preferiti?
Quali sono le tue città preferite?
Ad essere generosi, non supereremo la decina per nessuna di queste domande.

Twitter aveva immaginato per quel pulsante un valore di una certa portata, probabilmente superiore alla condivisione del retweet.
Parliamo di un social che vede conversazioni esaurirsi in modo molto più rapido che altrove.
Un retweet riverbera il contenuto di un altro utente ai nostri follower, ma un Preferito è per sempre.

Non è mai stato un like, perché contrassegnare un tweet come preferito non comparirà mai a nessuno dei nostri follower, se non all’autore del Tweet.
Cliccare su preferito significa catalogare un tweet nella nostra hall of fame dei tweet, da tenere in bella mostra per chi venisse a consultare il nostro profilo.

Non l’abbiamo mai voluto capire.

La sezione che doveva raccogliere pochi tweet preferiti è diventata un agglomerato di migliaia di Tweet a cui abbiamo voluto assegnare un’interazione superficiale, quasi una presa visione, un doppione di un retweet o un cenno d’assenso che non meritava gli allori del retweet.

L’abbiamo utilizzato come un Like, sebbene non ne detenesse né le caratteristiche né la potenza di fuoco, fino al giorno (02/11/2015) in cui lo è diventato davvero.

Perché stupirsi?

Twitter ha ascoltato, raccolto dei segnali e operato nella stessa direzione degli utenti. A mio avviso non ne esce male e non mi stupirei se le interazioni aumentassero in virtù di quest’opera di disambiguazione.

Noi non ne usciamo benissimo, se continuiamo a pretendere di usare tutto come Facebook e a lamentarci che finisca per diventarne una brutta copia.

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