Con Vincenzo Cosenza: Engagement e Social listening

Vincenzo Cosenza (source vincos.it)Con questa intervista a Vincenzo Cosenza, social media strategist per Blogmeter, inauguro quello che spero possa essere un appuntamento settimanale in cui vi proporrò interviste a personaggi illustri del digital marketing.

Apro questo spazio proponendovi in primis delle riflessioni sulla tematica del social listening con particolare riferimento all’engagement.

Tra le varie disamine ritrovabili online si sente parlare spesso di engagement, talvolta con definizioni più o meno condivisibili.

Per farla breve, si parla del tasso e della capacità di un soggetto (inteso come azienda, personaggio pubblico o comune utente) di intrattenere il proprio audience; di creare interazione; di stimolare le relazioni online.

L’ambiente social diviene sempre più teatro d’analisi. Una piazza planetaria e composita, ricca di informazioni e tendenze è oggetto, inevitabilmente, di studio da parte dei brand e di chi, nello specifico, è chiamato ad ascoltare la rete.

Il social listening non è altro che l’insieme di operazioni che consentono di conoscere e di ascoltare ciò che dalla piazza emerge e gli umori (il sentiment) che accompagnano i topic, sulla base dell’analisi del patrimonio di dati che , chi si occupa di listening, ha il dovere di incrementare attraverso processi di stimolo, per poter rendere le proprie rilevazioni quanto più attendibili e rappresentative.

Ne deriva, dunque, che l’engagement sia il motore che muove tutto questo.

Solo intrattenendo il pubblico si spinge questo all’interazione e alla produzione di scambi di valore che gremiscono le fila del patrimonio di analisi.

Ringrazio Vincenzo Cosenza e vi consiglio seguire il suo sito e i profili social che troverete facilmente all’interno, oltre che la lettura del suo interessantissimo libro SOCIAL MEDIA ROI aggiornato al maggio 2014.

Segue l’intervista:

Dottor Cosenza, studiando e discutendo di Social Listening nel corso dell’ultimo periodo ho trattato tematiche come content marketing e gamification, intese come attività atte a creare hype e conversazioni, dalle quali e per le quali derivare dati e informazioni su cui operare analisi. Tutti i processi, inevitabilmente, conducono all’incremento dell’engagement, che talvolta viene erroneamente annoverato tra le finalità, mentre nella mia visione assume più la conformazione di uno strumento in grado di generare materia su cui operare.
Secondo lei, qual è il modo più efficace di creare engagement funzionale alle finalità di social listening e quindi, in definitiva, di business?

Non penso ci sia un solo modo efficace per generare coinvolgimento e far sentire importante il cliente/prospect. Dal content marketing alla gamification, fino ad arrivare a tecniche più evolute come la co-creation (il coinvolgimento di persone esterne all’azienda nei processi di creazione di nuovi prodotti/servizi o nel miglioramento degli esistenti) ogni tecnica può essere utile a porre maggior attenzione al cliente. Ogni azienda deve scegliere quella più adatta a seconda degli specifici obiettivi di business che si è prefissa e anche del pubblico di riferimento che ha.
L’importante è non voler strafare, ma andare per gradi. Un approccio attento, che preveda anche la misurazione dei risultati ottenuti, è l’ideale per poter godere dei benefici di ogni nuova attività di engagement.

Qual è lo stato del social listening nello scenario Italiano, rispetto alle realtà internazionali?

Le aziende che si occupano di sviluppare software di ascolto e di analisi sono poche, anche se negli ultimi due anni ce ne sono di molto piccole che stanno iniziando ad offrire soluzioni di listening.
È diventato facile acquisire informazioni dalla rete (le conversazioni delle persone e le interazioni) mentre è ancora difficile aggiungere valore a queste informazioni grezze. Quindi le aziende migliori sono quelle che riescono ad offrire qualcosa in più, a dare senso e contesto, per esempio estraendo automaticamente sentiment (l’opinione positiva o negativa) ed emozioni espresse.
In termini di utilizzo di strumenti di social listening da parte delle aziende devo dire che ormai quasi tutte le grandi hanno un tool di ascolto. Meno diffuso ancora tra le medie e le piccole, che spesso per risparmiare usano strumenti gratuiti che però, spesso, danno l’illusione dell’ascolto, ma in realtà perdono molte informazioni esistenti.

Esistono bad pratctices da scongiurare in materia?

Bisogna stare attenti ad evitare quella che ho chiamato l’illusione dell’ascolto. Pensare di aver raccolto tutte le conversazioni sulla propria azienda quando in realtà non è così. Il mio consiglio è di confrontare sempre più strumenti di ascolto prima di scegliere quello più adatto alle proprie esigenze.

I social sono soliti offrire dei pannelli di gestione che riportano degli insights abbastanza generici. Qual è il modo più corretto per un’impresa di approcciarsi all’ascolto del proprio network?

Si può partire da quelli per acquisire dimestichezza e allenarsi a sviluppare una cultura della misurazione. Poi però bisogna iniziare a testare altro. Non ci sono regole particolari perché ogni azienda può avere esigenze di comprensione diverse, quindi l’importante è provare più strumenti prima di decidere.

Appurato che la conta di fan e follower rappresenta un dato che poco riferisce sulla qualità delle interazioni, esistono metriche che, più di altre, possono offrire riscontri tangibili sulla qualità dell’attività social di un’azienda?

Le metriche di engagement possono essere più utili. Ossia il conteggio delle interazioni prodotte da un contenuto aziendale possono, pur essendo quantitative, offrire delle informazioni qualitative, almeno in prima battuta. Se un contenuto ottiene più interazioni di un altro vuol dire che è stato più apprezzato. Ma chiaramente non ci si può fermare solo ad una valutazione quantitativa. Bisognerà capire se le opinioni delle persone sono state davvero positive. Lo si può fare in maniera automatica con software di data mining e sentiment analysis o in maniera manuale (con più sforzo, ma con la massima precisione).

Esistono strumenti open source per applicare prime rilevazioni, di esigua portata, a carattere dimostrativo?

Ho sentito parlare di strumenti di data mining open source, spesso provenienti da ambiti di ricerca, ma non ho avuto la possibilità di testarli. Nella maggior parte dei casi si limitano a recuperare le conversazioni sulla base di parole chiave, ma non gestiscono le ambiguità della lingua. Es. la parola GOLF è sia un capo d’abbigliamento, che uno sport, che un modello di auto. Un tool anglosassone non riuscirebbe a capire se un messaggio contenente questa parola è pertinente alla mia analisi o meno.

Ringraziando nuovamente Vincenzo Cosenza per la cortese disponibilità a rilasciare e consentire la pubblicazione di questo scambio di battute, vi informo con debito anticipo che la prossima intervista vedrà protagonista Andrzej Marczewski, guru britannico della Gamification. (QUI L’INTERVISTA)

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