Like e valore degli stessi.
Un problema ciclico, che talvolta porta con sé anche il dubbio se sia utile o meno dibatterne.
Forse vale la pena ribadirlo, perché non si perpetri l’errore di indurre in inganno, o più semplicemente per non consentire di fare breccia a strategie di comunicazione povere di sostanza.
Mi avvarrò di qualche esempio che balza da una sponda all’altra dei banchi dell’ideologia politica, così da privare ogni mia valutazione da giudizi politici, per i quali non è questo il luogo.
La causa scatenante di quella che vuole essere una delucidazione è questo post.
Le bugie di Renzi hanno le gambe corte: stiamo arrivando!
Posted by Matteo Salvini on Giovedì 16 aprile 2015
Stento a credere che a distanza di ormai 8 anni dall’esplosione del fenomeno Facebook si possa ancora dare così tanto peso al numero dei like delle pagine.
Le motivazioni sono sostanzialmente individuabili in due direzioni.
Motivazioni di carattere tecnico e motivazioni di carattere esperienziale.
Dal punto di vista meramente tecnico, c’è stato un tempo in cui la rincorsa ai fan (così venivano definiti dalla piattaforma) aveva un gran senso, seppur non rappresentasse propriamente un’indicatore politico.
Le pagine Facebook (pagine fan al secolo) seguite da un gran numero di persone, consentivano a chi pubblicava dalle stesse di parlare con una gran platea.
Basterebbe solo sapere che oggi non è più così e che circa il 90% dei vostri fan, fatte salve sponsorizzazioni onerose, non saprà mai cosa avete scritto.
Esistono numerosi tipi di metriche sicuramente più profonde e più efficaci che recitano i tassi di interazione, ad esempio l’engagement, e il coinvolgimento degli utenti rispetto alle pubblicazioni di chi amministra le pagine stesse.
I risultati sono monitorabili, per avere il polso della capacità di come gestite, o come vi gestiscono, la pagina, ma non ci dicono nulla di più di questo.
I risultati su Facebook rispondono alle attività svolte su Facebook.
Niente di meno, niente di più, seppur si parli di platee dai numeri molto consistenti.
Se volessimo badare alla logica del post di cui sopra, stando ad alcuni dati pubblicati con costanza dalla piattaforma PolisMeter di BlogMeter, probabilmente dovremmo parlare di una Lega Nord vicina ad un’elezione con caratteri plebiscitari, subito seguita da un’enorme crescita del Movimento Cinque Stelle, nonché di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia.
Ma quanto sarebbe parziale e incorretto?
Tutto ciò che possiamo asserire è che i soggetti in questione stanno, attualmente, attivando delle strategie sui social media che stanno avendo un’efficacia superiore, nel periodo in esame, rispetto ai concorrenti.
Estendere un risultato ottenuto su una piattaforma è un errore, o una mistificazione del reale, che ha precedenti storici già parecchio fallimentari.
L’euforia per i social media aveva portato varie testate, anche autorevoli, a supporre l’avvento di nuovi Obama italiani.
Era il caso di Nichi Vendola, forse il primo politico italiano ad applicare delle interessanti strategie di social media marketing crossmediali, alternando pubblicazioni frequenti su Youtube, a post testuali a mò di aforismi, unitamente alla pubblicazione di immagini virali che, in un certo senso, hanno un po’ anticipato la tendenza dei meme.
Una strategia social molto assennata ed efficace che ha prodotto un periodo di grande visibilità per il Governatore della Puglia.
Il problema sorge quando tutto questo comincia ad essere inteso come indicatore elettorale, assegnando a un dato più valore di quanto ne abbia.
Le attività e la nuova comunicazione politica riuscirono a portare Nichi Vendola agli onori della cronaca della BBC, che abbozzava un parallelismo tra il leader pugliese e Barack Obama, con tanto di link ai suoi video su Youtube.
Era il 2010 e forse è giusto concedere l’errore di valutazione rispetto ad un media che conoscevamo ancora poco.
La politica stessa, nella figura (ironia della sorte) del Leader della Lega, si “allarmava” dell’ascesa del leader di SEL.
Il Secolo XIX riportava:
Per Umberto Bossi «c’è sotto qualcosa» sul fatto che Nichi Vendola abbia superato Silvio Berlusconi per numero di sostenitori: «basta dare un’ordine alla sinistra e tutti votano, vanno in quella direzione. Se è così vuol dire che c’è sotto qualcosa, vedremo».
La conta dei like destava l’interesse della stampa e degli attori coinvolti.
Un interesse che non si è tramutato in voti. Questa è storia.
Un caso più recente è stata la corsa alle primarie del PD di Pippo Civati.
Fortissimo sui social, ma finito dietro Renzi e Cuperlo, contro ogni previsione che i dati social avrebbero potuto suggerire ai più grossolani analisti.
Dal punto di vista delle esperienze d’uso, invece, va le la pena precisare ancora una volta che Facebook, come ogni social, è un ecosistema.
Una piattaforma che tende sempre più ad offrire alla propria utenza una quantità ampia e spesso utile di servizi, che possa consentire ai “naviganti” di trovare tutto ciò che desiderano all’interno della stessa.
Ecosistemi generano comunità, che rispondono alle proprie esperienze d’uso; alle dinamiche che scaturiscono dall’intreccio di interazioni tra utenti; agli algoritmi che regolamentano cosa (e spesso come) gli stessi debbano vedere; alle proprie posizioni ideologiche, ma sicuramente a tutto ciò che si realizza all’interno della stessa e non necessariamente fuori.
Se prendiamo ad esempio Twitter e Facebook, non vi sarà difficile notare che una persona, la stessa persona, non è la fotocopia di sé stesso su entrambi i social.
E quando lo è sta sbagliando approccio.
Gli ecosistemi e le community, volenti o nolenti, mediano le nostre attività sui social, il ché non recita una mutevolezza della nostra identità dovuta al web, ma semplicemente la capacità e la necessità di essere eclettici rispetto a luoghi e dinamiche diverse.
Sebbene Facebook ospiti circa 2 miliardi di persone e offra una interessantissima finestra sul mondo, Facebook non è il mondo.
Utilizzare sapientemente il mezzo, monitorare le attività, riscontrare miglioramenti e programmare nuove attività per valorizzare le performance ed incontrare le issues dei nostri interlocutori è quanto di più auspicabile possa esistere. Parliamo di Social listening, non a caso.
Prendere i like, il dato più superficiale, e farne fantasiose induzioni è un errore che non conosce convinzioni e posizioni politiche.
Segui Social Listening sui profili social e condividi se l’hai trovato interessante.
I social media (Facebook in primis) sono utili se fanno parte di una strategia più articolata, non fine a se stessi.
Giustissimo, Matteo.
Nel caso in esame si parla in gergo di “vanity metrics”, metriche di vanità.