Tra Food Porn e sana alimentazione tradizionale. Raccontare il cibo sul web è una delle tendenze più consolidate degli ultimi tempi.
Nell’ormai consueto appuntamento dell’intervista del venerdì ne parlo con Tommaso Niccoli e Giancarlo Panico, dell’agenzia npr relazioni pubbliche, navigati professionisti e docenti universitari, specializzati nella comunicazione del settore alimentare, che hanno accettato di rilasciare questa lunga intervista ricca di interessantissimi spunti non solo di esclusiva pertinenza del marketing digitale.
Perché postiamo la foto di ciò che stiamo mangiando? Cosa ci spinge a condividere con amici e followers piatti, prodotti, bevande e dolci? Perché negli ultimi anni sono stati pubblicati tanti libri sulla cucina e l’alimentazione come mai era accaduto in passato? Il cibo è ormai il principale argomento del web, dopo le notizie di attualità. Tuttavia il web ha solo amplificato un fenomeno che da sempre accompagna l’alimentazione. Ricetta è la parola più cercata sui principali motori di ricerca, così come il cibo è diventato il protagonista indiscusso del web attraverso rubriche sui principali portali e quotidiani, ma anche blog, siti tematici, magazine online e poi sui principali social network sfociando nel fenomeno del “food porn”.
Ma veniamo all’intervista…
Cibo e comunicazione: un connubio apparentemente indissolubile che ha radici lontane e che pare vivere un periodo di particolare vigore nell’era dei social media.
Il web, i social network e soprattutto l’accesso in mobilità, hanno solo amplificato un fenomeno che da sempre accompagna l’alimentazione: la condivisione e il racconto del cibo e del pasto. Alcuni dei geroglifici più antichi parlano di cibo. Pensate all’agape cristiana, che culmina nell’ultima cena, poi divenuta la prassi narrativa più rappresentata del mondo, sia con lo spezzare il pane eucaristico domenicale sia nell’arte. Nell’antica Roma, come a Pompei ed Ercolano, il cibo, era il principale argomento delle conversazioni, ritratto in alcuni dei più importanti mosaici ed affreschi.
Il fenomeno viene definito “Food porn”, recuperando una terminologia legata a tematiche inerenti le condotte etiche delle multinazionali e dei propri prodotti che fungevano da specchietti per le allodole, già 30 anni fa. La nuova accezione di “food porn” assume sicuramente un valore diametralmente opposto all’antesignana. Parliamo di una condotta spontanea, che porta gli utenti dei social media ad incarnare nelle immagini delle proprie pietanze momenti di vita quotidiana, che scelgono di condividere con il proprio network.
Condividere e raccontare il cibo, a nostro avviso, ha un significato più profondo. Quello di estendere l’esperienza del pasto a coloro che conosciamo. E’ un fenomeno interessante da un punto di vista sociologico, che potrebbe essere letto come una risposta alla crescente molecolarizzazione sociale. Negli ultimi vent’anni le tecnologie hanno ridotto all’osso le relazioni sociali. I social network in qualche modo (benché discutibile) danno l’opportunità di essere in relazione.
Perché proprio il cibo?
Perché l’alimentazione quotidiana è un’esperienza intima e condividerla significa aprirsi agli altri, significa farli entrare nella nostra vita. In misura minore lo facciamo con i viaggi e tutte le altre esperienze, anche le meno piacevoli. Le piazze virtuali delle nostre community di amici o followers, anche le più piccole, sostituiscono quell’azione sociale di raccontarsi la vita di ogni giorno che fino a qualche anno fa vivevamo nell’incontro con gli amici nei luoghi di ritrovo delle città come la piazza o il bar.
La produzione di contenuti legata al cibo e alla cucina investe da sempre, ma oggi con dimensioni sicuramente maggiori, i canali di comunicazione trasversalmente. E’ probabilmente dal cibo e dalle ricette che nasce il fenomeno dei video tutorial, capace di innescare la creazione di un nuovo format comunicativo, ma soprattutto una nuova attività, se proprio non la si vuol definire professione: il food blogger. Quali sono gli aspetti più interessanti del fenomeno, anche in prospettiva?
Quello che da qualche anno sta avvenendo con il cibo è la metafora più evidente del grande cambiamento della comunicazione: lo storytelling. Che da un punto di vista di business è il conversation marketing. Viviamo l’epoca della conversazione. Con le tecnologie ogni persona è divenuta un media, non più solo destinataria (passiva) della comunicazione ma protagonista attiva. E così, raccontare è divenuto indispensabile nell’engagement prima e nel governo delle relazioni poi, per le organizzazione, innanzitutto, ma per ogni altro soggetto che voglia proporsi sulla scena mediatica. I blogger lo hanno capito prima di altri e i foodblogger sono la maggioranza perché il cibo è fondamentale nella nostra vita e a tutti piace raccontarlo o leggerlo. Il web ha anche accelerato il processo di disintermediazione tra le organizzazioni e i loro pubblici e così ogni giorno vogliamo sapere tutto di ciò che mangiamo… se le imprese non ce lo dicono lo andiamo a cercare.
Internet concede varietà e creatività, che pertanto rendono le figure molto evanescenti e libere da definizioni troppo rigide. Il food blogger è qualcuno che parla di cibo, scegliendo a suo piacimento le modalità in cui farlo. Le aziende del settore sono inevitabilmente attente al fenomeno, ma come si attivano in tal senso?
I foodblog, ma in generale tutti i progetti editoriali su cibo e alimentazione, hanno scalato le classifiche degli stakeholder delle aziende, perché è da questi canali, attraverso gli opinion leader che li firmano, che passano le scelte dei consumatori. Insomma se un foodblogger dice che un prodotto va assaggiato o va cucinato in un modo, questo può divenire di tendenza anche in poche ore. Alcuni foodblogger (neanche pochi), come un tempo accadeva per le trasmissioni tv, sono diventati vere e proprie star e testimonial di alimenti e prodotti (anche accessori) per la cucina. Le aziende del settore alimentare, ma anche turistico (che con quello dell’alimentazione è fortemente connesso: pensate che il 60% dei turisti come souvenir acquistano i prodotti tipici), dunque li hanno in grande considerazione.
L’hashtag #foodporn solo su instagram conta più di 36 milioni di post. Recentemente ho trattato l’esperienza Picture House che mira ad incentivare la pubblicazione delle immagini dei prodotti, come veicolo di promozione virale, non convenzionale e a basso costo.Un’esperienza capace di produrre sicuramente molto hype.
Viviamo una fase in cui i social media spingono tutti fortemente nella direzione della comunicazione visuale, per questioni di esposizione garantita dall’algoritmo, ma anche per la capacità di creare engagement.
Può essere questo uno dei modi di valorizzarla?
E’ senza dubbio uno dei modi, ma non è il solo, almeno per le imprese. La comunicazione, infatti, non può essere affidata “solo” ai social media, benché alcuni di questi siano molto autorevoli, ma richiede – mai come oggi – di essere sviluppata a 360° attraverso tutti i canali e i media. Partendo sempre dal sito e dai profili social istituzionali. L’azienda, ogni azienda, infatti, è divenuta una media factory e come tale è sempre più riconosciuta come soggetto comunicativo.
Sapreste indicarmi delle best practices?
Non vogliamo sembrare autoreferenziali ma due degli ultimi progetti su cui abbiamo lavorato ci sembrano interessanti in questo senso: il rilancio di Olio Dante e la comunicazione dell’azienda Rovagnati. Per il primo, in tempi in cui non era ancora così forte il fenomeno del foodsharing, abbiamo lavorato su un progetto di storytelling molto forte, ricostruendo e riproponendo la storia di un prodotto che per oltre 50 anni, prima di scomparire dalle cucine e dalle tavole, è stato tra i più rappresentativi del food made in Italy. Sulla cui fortuna è nata addirittura una compagnia di crociere: la Costa. Per Rovagnati, invece, insieme ad Extra, abbiamo sviluppato il progetto mangiarebuono.it, un magazine online sulla sana alimentazione, che ha l’ambizione di diventare una grande community sul recupero dell’alimentazione sana e genuina e della cucina italiana e costruire insieme una grande mappa della memoria delle tradizioni alimentari e gastronomiche dell’Italia, anche in vista di Expo2015. mangiarebuono.it si propone, dunque, di fare divulgazione sui temi dell’alimentazione, del mangiare sano, della storia e delle tradizioni alimentari italiane raccontando curiosità, offrendo informazioni scientifiche, ricerche, novità ma anche consigli nutrizionali. Molto buona anche la comunicazione di Barilla, per citare una delle imprese più rappresentative del nostro Paese, che ha dato vita al Barilla Center for food & nutrition ma anche piccole realtà, come aziende panificatrici, vitivinicole, di prodotti biologici.
Come si coinvolge un’azienda che ha oltre settant’anni ad intraprendere strade nuove e ricche di potenzialità e rischi come la comunicazione digitale e social?
Ci sono aziende (poche) ultracentenarie che fanno da sempre innovazione, sono al passo con i tempi, investono in comunicazione e digitale. Ma ce ne sono anche altre (la maggioranza), tante purtroppo, che rincorrono la comunicazione, non si affidano a professionisti, sono ancora legate ai vecchi concetti di pubblicità e marketing. La comunicazione è una questione culturale, ancor prima che strumentale. Richiede tempo, competenze e investimenti sistematici, anche quando sono pochi.
Nell’era della frenesia e dei fast food, dell’entusiasmo per la tecnologia e per le innovazioni come si riesce a comunicare la tradizione e la sana alimentazione in un’ambiente così diverso dalla “vecchia” tv?
Da qualche anno, complici i programmi tv sulla cucina e il web, c’è stata un’inversione di tendenza: la gente cerca qualità, prodotti tipici, freschi e genuini. C’è molta attenzione alle scelte alimentari, agli ingredienti utilizzati in cucina, ai prodotti. Il boom del Biologico né uno degli effetti più evidenti. Dal punto di vista delle aziende, oggi, la sfida vera e distinguersi rispetto ai competitor e questa partita – data per scontata la qualità – si giocherà tutta sulla comunicazione o meglio sui contenuti delle relazioni. Perché, in fin dei conti, nella network society la differenza la fanno i contenuti veicolati attraverso i canali della comunicazione: il sito corporate, innanzittutto. Poi la presenza sui media, principalmente quelli online. La presenza sui social netowork.
Ringraziando Giancarlo Panico e Tommaso Niccoli per la gentile concessione dell’intervista, vi lascio i link alle altre interviste delle scorse settimane, che hanno visto protagonisti i vari Vincenzo Cosenza, Joe Pulizzi, Michele Tesoro-Tess e Andrzej Marczewski, più una simpatica ed interessante infografica ad opera di Zomato.com che gioca (e informa) sulle esperienze di consumo che dividono il mondo.
Vincenzo Cosenza ci parla di: Engagement e Social listening
Andrzej Marczewski ci parla di: Gamification
Joe Pulizzi (Content Marketing Institute) ci parla di: Content Marketing
Michele Tesoro Tess (Reputation Institute) ci parla di: Online reputation e Social Listening
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